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Da una lacrima alla penicillina

Almeno quattro episodi di serendipità sono stati necessari per arrivare a produrre su larga scala il primo antibiotico, la penicillina, che ha rivoluzionato la medicina nel nostro secolo. Molte malattie infettive, contro cui nulla si poteva fino alle soglie della Seconda guerra mondiale sono diventate improvvisamente curabili, e sono state salvate milioni di vite umane, in molti casi giovani.

A condurre per mano la sorte in questo caso fu Alexander Fleming, uno scozzese dal forte carattere, che si è dedicato alla medicina quasi per caso, occupandosi in realtà di batteri e di virus. La sua vita, culminata con la vincita del premio Nobel per la medicina e la fisiologia nel 1945 - in compagnia di Howard Florey e Ernst Boris Chain, che ritorneranno in questo racconto - fu costellata dalla serendipità, che almeno in due occasioni, tra loro collegate, lo portò a fondamentali scoperte.

La prima risale al 1922, quando aveva 41 anni ed era ricercatore nel laboratorio di Sir Almroth Wright, celebre microbiologo del tempo. Fleming aveva un raffreddore che durava da alcuni giorni. Decise allora di prendere le proprie secrezioni nasali e di metterle su una piastra usata per coltivare i batteri, per vedere se si sviluppava qualche germe. Mentre, il giorno seguente, stava analizzando le colonie dei batteri cresciuti, una lacrima cadde inavvertitamente nella piastra di coltura. All'inizio Fleming non diede alcun peso all'accaduto e, compiute le sue osservazioni, ripose la piastra. Il giorno dopo riprese la medesima piastra e con stupore si accorse che i batteri erano cresciuti tranne in un punto, dove si poteva scorgere chiaramente un'area tondeggiante, chiara, guarda caso proprio dove era caduta la lacrima. Pensò allora che nella lacrima potesse esserci una sostanza ad azione antibiotica naturale, responsabile della morte dei batteri. In effetti si trattava di un enzima capace di lisare, cioè di distruggere per lisi, i batteri. Lo battezzò, per le sue caratteristiche lisozima, e cercò di sfruttarne le qualità per la cura delle malattie infettive. Purtroppo, però, il lisozima, che è normalmente presente nelle lacrime, è attivo contro germi che danno raramente disturbi e quasi mai malattie. L'idea di trovare un antibiotico efficace venne perciò accantonata, ma ritornò prepotentemente in scena sei anni dopo.

Correva l'estate del 1928, e Fleming era rimasto assente dal suo laboratorio per un breve periodo di vacanza. Stava lavorando sull'influenza - che oggi sappiamo essere una malattia virale - e in particolare su alcuni batteri coltivati come al solito in una piastra di coltura. Al ritorno dalla vacanza, Fleming riprese in mano le colture che aveva fatto prima di partire e notò che in una piastra c'era un'alone chiaro inusuale: in quella zona i batteri non erano cresciuti. Assomigliava all'analogo fenomeno che aveva osservato anni prima e che era stato provocato dalla lacrima caduta per caso nella coltura. Questa volta, però, al centro dell'area più chiara non c'era una lacrima ma una muffa, che aveva contaminato la coltura.

Fleming intuì subito l'importanza della sua osservazione e la collegò a quella fatta sei anni prima: "Se non fosse stata per la mia precedente esperienza, avrei subito buttato via la piastra perché contaminata, come molti batteriologi devono aver fatto prima di me. E' molto probabile che altri ricercatori abbiano visto in una coltura gli stessi cambiamenti che ho osservato io ma, in assenza di un interesse particolare per le sostanze antibatteriche naturali, le colture andate male sono state immediatamente gettate via. Invece di eliminare la coltura contaminata, io feci alcuni esperimenti. Fleming individuò la muffa, che apparteneva al genere Penicillium, e chiamò perciò la sostanza antibiotica isolata penicillina, riconoscendo alla sorte il proprio merito: "Ci sono migliaia di differenti muffe e ci sono migliaia di batteri differenti, e che la sorte abbia messo la muffa giusta nel posto giusto è stato come vincere alla Irish Sweep (ovvero la grande lotteria irlandese abbinata alle corse dei cavalli in Inghilterra, ndr)".

La storia della penicillina doveva però essere ancora molto lunga e travagliata, prima di approdare alla clinica. I tentativi di Fleming di usarla come antibiotico furono infatti fallimentari. I primi approcci condotti nell'uomo non portarono ad alcun apprezzabile risultato, tanto che Fleming decise di non proseguire oltre con le sperimentazioni, convinto che prima di passare alla fase di applicazione clinica occorreva trovare il modo di concentrare la penicillina, per renderla piùefficace. Solo così, infatti, si poteva sperare di osservare nel vivente i medesimi effetti di straordinaria potenza sui batteri visti nelle provette di laboratorio.

A trovare una soluzione al problema, vari anni dopo, furono i due futuri compagni di Nobel: Howard Florey, patologo dell'Università di Oxford, ed Ernst Boris Chain, un biochimico ebreo fuggito dalla Germania nazista e ospitato a Oxford da Florey. I due, utilizzando tecniche all'avanguardia, riuscirono a migliorare l'isolamento della penicillina e a concentrarla. La usarono così per curare con successo infezioni nell'animale da laboratorio e poi nell'uomo, dapprima per trattare le infezioni da stafilococco e, in un secondo tempo, anche per altri germi. Nonostante gli sforzi dei due, comunque, la penicillina ottenuta con questo procedimento era davvero poca, tanto da indurre i ricercatori a recuperarla dalle urine dei malati trattati, per poterla usare nuovamente.

Mentre questi lavori procedevano con lentezza, fuori dai laboratori infuriava la Seconda guerra mondiale. La richiesta di avere un antibiotico disponibile in grandi quantità ed efficace per le truppe impegnate nel conflitto e per la popolazione civile sempre più colpita dalle infezioni, diede una spinta straordinaria alle ricerche, che seguirono due direttrici: la prima prevedeva di sintetizzare in laboratori la molecola senza bisogno della muffa, la seconda mirava invece a incrementare la produzione, sfruttando i processi fermentativi. La prima strada si dimostrò troppo lunga da percorrere per dare risultati in tempi brevi, e arrivò all'obiettivo prefissato ben dopo il termine della guerra. La seconda fu, invece, quella vincente, e lo divenne attraverso altre due spinte della serendipità.

Nell'intento di unire le forze di britannici e americani per produrre su larga scala la penicillina, Florey attraversò l'Oceano e si recò negli Stati Uniti, al Northern Regional Research Laboratory del Dipartimento statunitense dell'agricoltura a Peoria, nell'Illinois. Qui da qualche tempo i ricercatori si arrovellavano su come riutilizzare i resti della lavorazione dei cereali. La proposta di Fleming fu di usarli come mezzo per arricchire i terreni dove venivano fatte crescere le muffe produttrici di penicillina. In effetti quando l'estratto venne aggiunto alle colture si ebbe un incremento di dieci volte nella produzione dell'antibiotico.

Ma la cittadina di Peoria doveva contribuire ulteriormente alla causa: si pensò di far arrivare da tutto il mondo vari campioni di muffe Penicillium, partendo dal presupposto che alcune producevano molta penicillina e altre meno, per trovare quella capace di produrre la maggior quantità di antibiotico. Il caso volle che a risultare vincente in questa contesa "mondiale" fosse una muffa spedita al Northern Regional Research Laboratory da una donna della medesima cittadina di Peoria, Mary Hunt, e battezzata pertanto Muffa Mary. La donna aveva scoperto la muffa su un melone preso a un supermercato locale, che aveva alla superficie una muffa tanto "bella e di colore dorato" da indurla a portarla ai laboratori di Peoria. Tale muffa aumentò di altre dieci volte le capacità produttive e lanciò definitivamente la produzione su larga scala della penicillina.

Un farmaco che ha cambiato la storia dell'Umanità, e che deve ringraziare la serendipità di Alexander Fleming il quale, raccontando la scoperta, si schermiva affermando: "La storia della penicillina ha qualcosa di romanzesco e aiuta a illustrare il peso della sorte, della fortuna, del fato o del destino, come lo si vuole chiamare, nella carriera di ogni persona".

 

  

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