Lo sguardo dell’uomo: l’osservazione di Marte

Fu solo illusione? I canali di Marte tra il 1877 e il 1910*



Pasquale Tucci

Ordinario di Storia della Fisica, Istituto di Fisica Generale Applicata, Università degli Studi di Milano





1. Quando la notte del 23 agosto 1877 Giovanni Virginio Schiaparelli (1835-1910) orientò verso Marte il telescopio col quale stava osservando stelle doppie non aveva intenzione di dedicare al pianeta rosso una serie continuata e regolare di osservazioni. Marte si presentava in condizioni ideali per l’osservazione essendo all’opposizione (Sole, Terra e Marte allineati nell’ordine) e a una distanza dalla Terra particolarmente bassa.

Schiaparelli desiderava solo sperimentare se il telescopio rifrattore Merz di 218 mm, che si era dimostrato eccellente nell’osservazione delle stelle doppie, possedesse le qualità ottiche opportune allo studio della superficie dei pianeti. Quella breve incursione sul pianeta, però, non si esaurì nel giro di qualche ora: dal 1877 fino alla fine dei suoi giorni, infatti, Schiaparelli continuò a studiare Marte, legando molta della sua fama ai pionieristici studi sulla topografia del pianeta. Cercava una risposta sulla qualità del suo strumento e trovò un mondo inesplorato che sentiva di poter svelare nei suoi dettagli e nella sua evoluzione: un tipico caso di serendipity che vale la pena di raccontare.



2. All’epoca le informazioni sul pianeta Marte erano numerose, ma frammentarie e poco diffuse. Esse si possono così sintetizzare:

- Tra il 1636 e il 1873 vari osservatori avevano tracciato un migliaio di disegni della superficie del pianeta. Non tutti, però, erano stati pubblicati.

- Nel 1867 l’anglo-americano Richard Antony Proctor, prolifico divulgatore di tematiche astronomiche, aveva raccolto i disegni di Marte disponibili e aveva elaborato una mappa del pianeta, la più dettagliata prima di quella disegnata da Schiaparelli tra il 1877 e 1878. Nella carta di Proctor erano riprodotte varie strutture interpretate come ‘continenti’ e ‘mari’, ai quali erano stati assegnati nomi di famosi astronomi. Ai poli erano disegnate bianche calotte, interpretate come ghiaccio già da William Herschel alla fine del diciottesimo secolo.

- Nel 1859 il padre gesuita Angelo Secchi, famoso per la prima classificazione delle stelle sulla base del loro spettro, pubblicò 18 disegni di particolari e dei due emisferi di Marte. Le immagini mostravano un pianeta con bianche calotte, azzurri mari su sfondi rossastri e rosati: Secchi introdusse il termine ‘canali’ per indicare certe strutture regolari allungate.

- Nel 1867 William Huggins, mediante studi spettroscopici, aveva rilevato, infine, la presenza di vapor acqueo nell’atmosfera del pianeta.

Il mosaico delle conoscenze disponibili, con l’uso di termini terrestri come ‘continenti’, ‘mari’, ‘calotte’, ‘canali’, sebbene disarticolato, suggeriva complessivamente l’idea che Marte fosse molto simile alla Terra.



3. La prima reazione di Schiaparelli alle immagini di Marte che il telescopio gli offriva la notte del 23 agosto fu di disorientamento: non riusciva, infatti, a individuare sulla superficie del pianeta quello che risultava dai disegni e dalle mappe che aveva a disposizione.

In effetti egli fu sfortunato in quell’occasione: la zona osservata, infatti, era una delle più difficili e delle più dubbiose. Ma non si scoraggiò: a poco a poco alcuni dettagli cominciarono ad acquistare significato e furono riconosciute alcune forme disegnate sulle carte. E quando si rese conto che i disegni tracciati sulla base delle sue osservazioni non differivano molto da quelli, bellissimi, eseguiti da Gerhard Kaiser e J. Normann Lockyer durante l’opposizione del 1862, quando il pianeta si presentava in una configurazione quasi identica a quella del 1877, decise di intraprendere uno studio sistematico della sua superficie.

All’epoca, in mancanza di una tecnica fotografica accettabile, il risultato delle osservazioni di un pianeta veniva reso pubblico mediante disegni di particolari della sua superficie eseguiti a mano: una procedura difficile e faticosa. Un occhio dell’osservatore era incollato all’oculare del telescopio (Schiaparelli osservava con l’occhio sinistro) e l’altro occhio guidava la mano che disegnava. Il disegno di ciò che si osservava doveva essere fatto in tempi brevissimi perché rapidamente potevano cambiare le condizioni di osservazione a causa della turbolenza dell’atmosfera terrestre o a causa di cambiamenti sulla superficie del pianeta o a causa del movimento della Terra e del pianeta rispetto al Sole. Poteva capitare, e a Schiaparelli capitò, di disegnare particolari osservati per una frazione di secondo e di non poter controllare quindi la verosimiglianza tra quanto disegnato e quanto osservato.

Tutto ciò dava luogo a discussioni e a polemiche perché spesso si metteva in dubbio la veridicità di un particolare notato una sola volta e disegnato da un solo osservatore: è un problema tipico dei fenomeni astronomici, non essendo essi riproducibili in laboratorio.

Un ruolo particolarmente importante gioca allora l’autorevolezza della quale gode lo studioso per assegnare verosimiglianza alle sue osservazioni: un problema di fiducia che mal si coniuga con la pretesa oggettività di ‘fatti’ sui quali dovrebbero basarsi speculazioni e considerazioni teoriche. Da questo punto di vista Schiaparelli era in una botte di ferro perché, come vedremo, quando iniziò i suoi studi su Marte godeva oramai di una indiscussa e diffusa stima all’interno della comunità astronomica internazionale.

Ma dire che un particolare disegnato corrisponde a quanto osservato sulla base dell’autorevolezza acquisita dallo scienziato in osservazioni precedenti pone difficili problemi metodologici: con essi si cimentò la comunità astronomica alla fine del secolo scorso e nel primo decennio di questo secolo proprio in relazione ai problemi sollevati dalle osservazioni di Marte da parte dello scienziato milanese.

Oltre ad essere un bravo osservatore Schiaparelli era, comunque, uno scienziato le cui posizioni metodologiche erano chiare, sebbene schematiche: ‘fatti’ e ‘opinioni’ possono essere nettamente demarcati. Compito dello scienziato è quello di teorizzare, anche in maniera ardita, ma solo sulla base di fatti accertati al di là di ogni ragionevole dubbio. Per questo egli introdusse nello studio e nella descrizione del pianeta Marte una serie di tecniche e di procedure che limitavano al massimo l’arbitrarietà dello scienziato.

E, quasi a sottolineare anche visivamente questa sua scelta metodologica, pubblicò quelli che lui considerava ‘fatti’ in scritti rivolti alla comunità scientifica e quelle che considerava ‘opinioni’ in scritti rivolti a un pubblico generico: così saliva e scendeva dalla groppa dell’Ippogrifo, prendendo a prestito la metafora da lui usata in "La vita sul pianeta Marte" pubblicata in questo volume, a seconda della libertà che voleva concedere alla sua fantasia. Vedremo, comunque, che la cavalcata sull’Ippogrifo non era un caotico girovagare, ma era sempre guidata dal principio di razionale ricostruzione, in un quadro unitario, di indizi, fenomeni e ipotesi teoriche.



4. Ma torniamo allo Schiaparelli ancora con i piedi a terra e l’occhio incollato all’oculare del suo telescopio.

Il suo intento fondamentale fu quello di procedere alla descrizione del pianeta non per mezzo di emisferi o di disegni di Marte fatti a misura d’occhio, ma in accordo a metodi e principi geometrici, in analogia a quello che si fa sulla Terra quando se ne vuole descrivere la topografia.

Intraprendere studi topografici di un pianeta lontano fu per Schiaparelli un atto di coraggio intellettuale.

Per un astronomo, all’epoca, era considerata scientificamente corretta solo la descrizione del movimento dei pianeti del Sistema Solare, dei loro satelliti, delle comete, sotto l’azione gravitazionale reciproca esercitata dal Sole e dagli altri pianeti. Era il programma newtoniano-laplaciano che, con la pubblicazione, nel 1687, dei Principia Mathematica di Newton, e, nel 1799-1802, dei primi tre volumi della Mécanique Céleste di Laplace, aveva costituito il punto di vista intorno al quale si erano organizzate le indagini scientifiche sulla natura per due secoli.

Nel contesto delle discipline astronomiche l’indagine fisica della superficie di un pianeta e dei suoi cambiamenti nel tempo era considerata non degna di attenzione. Secchi che, addirittura, usciva dal Sistema Solare per studiare le stelle con lo spettroscopio al fine di individuare la natura delle sostanze delle quali erano composte, veniva considerato un ‘fisico’, e non era certo per fargli un complimento.

Alla fine del diciottesimo secolo e all’inizio di quello successivo aveva preso corpo, grazie a W. Herschel, lo scopritore nel 1781 del pianeta Urano, un punto di vista alternativo a quello newtoniano-laplaciano: esso si basava sulla ricerca di una rappresentazione degli astri attraverso l’osservazione diretta nel cosmo, guidata dal ragionamento, degli astri. L’obiettivo era quello di indurre da ciò che poteva essere osservato sulla sfera celeste la sua evoluzione nel tempo e nello spazio. In base al punto di vista herscheliano compito dell’astronomo era quello di indurre la costituzione dei cieli da quello che si vede sulla volta celeste, invece che dedurlo dalle leggi della gravitazione universale, come avveniva per il punto di vista newtoniano-laplaciano.

Il lavoro dell’astronomo veniva assimilato a quello del paleontologo: così come quest’ultimo cerca di ricostruire le specie animali scomparse e la loro evoluzione a partire dai frammenti fossili, così l’astronomo cerca di ricostruire la costituzione e l’evoluzione degli astri a partire da quello che si vede sulla volta celeste. Nel corso dell’Ottocento, però, il punto di vista herscheliano non riuscì ad imporsi: esso si sviluppò solo in seguito, con l’introduzione di nuovi strumenti e nuove tecnologie di osservazione, quali la fotometria, la spettroscopia, la fotografia.

Il punto di vista newtoniano-laplaciano aveva mostrato, nel corso dell’Ottocento, grandi difficoltà a dar conto dei nuovi fenomeni elettrici e magnetici che si venivano scoprendo. Ma in astronomia era ancora un programma di forte attrazione, rafforzata, tra l’altro, dalla scoperta del pianeta Nettuno. La sua esistenza era stata prevista, col calcolo, (indipendentemente) da John Couch Adams e Urbain Jean Joseph Leverrier. Nettuno era poi stato individuato, nel 1846, sulla base delle indicazioni di Leverrier, da Johann Gottfried Galle.

Al programma newtoniano-laplaciano Schiaparelli si era, parzialmente, ispirato nei primi venti anni della sua attività, acquistando fama internazionale.



5. Schiaparelli, piemontese inviato a Milano dopo l’unità d’Italia, aveva studiato all’estero, presso due dei centri astronomici più importanti del vecchio continente: con Johann Franz Encke a Berlino e con Otto Struve e Friedrich August Winnecke a Pulkovo (vicino San Pietroburgo), dove si trovava, nel 1859, quando fu nominato astronomo dell’Osservatorio Astronomico di Brera.

Nel 1862 fu nominato direttore dell’Osservatorio Astronomico di Brera; nel 1877 era oramai famoso per aver scoperto il pianetino Esperia, per i suoi studi sulle stelle doppie, sulle comete, sulle stelle cadenti e sulle meteoriti.

Soprattutto quello sulle stelle cadenti gli aveva procurato importanti riconoscimenti da parte della comunità astronomica: l’argomento era considerato piuttosto eccentrico. Schiaparelli si era posto il problema, infatti, di dar conto del fenomeno delle stelle cadenti che si osservano nelle notti intorno al 10 agosto e, in misura minore, nelle notti intorno al 27 novembre: un avvenimento piuttosto bizzarro e carico di significati extra-scientifici.

Esso veniva considerato un fenomeno che aveva origine nell’atmosfera terrestre e, come tale, oggetto di studio da parte dei meteorologi, piuttosto che un fenomeno che aveva origine nel Sistema Solare e, come tale, oggetto di studio da parte degli astronomi. In ogni caso il fenomeno era così irregolare che si disperava di poterlo ricondurre a leggi note.

L’astronomo milanese, invece, dimostrò che il fenomeno era perfettamente descrivibile con gli strumenti della meccanica celeste: le stelle cadenti sono detriti di comete in disfacimento, attraversati dalla Terra lungo il suo percorso intorno al Sole. In particolare Schiaparelli dimostrò che le stelle cadenti che si osservano il 10 agosto (le Perseidi) derivavano dalla dissoluzione della cometa 1862III e che le stelle cadenti che si osservano il 27 novembre (le Leonidi) derivavano dalla dissoluzione della cometa 1866I.

Questi studi ebbero una grande diffusione nella comunità astronomica. E furono proprio essi che contribuirono a dare dignità scientifica a quelli successivi sul pianeta Marte che, caricati di significati simbolici in relazione al problema dell’abitabilità di altri mondi da parte di esseri intelligenti, erano spesso terreno di incursione da parte di dilettanti e di ciarlatani.

Così, in ragione dell’autorevolezza acquisita, Schiaparelli fu garante della scientificità degli studi su Marte nei riguardi della comunità astronomica internazionale, piuttosto restia ad accettare la validità di questo nuovo settore di ricerca.



6. Schiaparelli lesse all’Accademia dei Lincei i risultati delle sue osservazioni di Marte fatte dall’agosto 1877 al marzo 1878: essi furono pubblicati, nel 1878, in una memoria di oltre 160 pagine, ricca di descrizioni e di calcoli, sui prestigiosi Atti della R. Accademia dei Lincei, Memorie della Classe di Scienze Fisiche, Matematiche e Naturali.

Schiaparelli determinò, innanzitutto, l’asse di rotazione del pianeta, basandosi su determinazioni micrometriche di 62 punti della sua superficie. Essi servirono come fondamento della prima mappa, in proiezione di Mercatore, del pianeta: essa era la più ricca di particolari tra tutte quelle che erano state fino ad allora pubblicate.

Ai vari luoghi del pianeta, attingendo alla sua vasta e profonda cultura classica, Schiaparelli assegnò nomi tratti dall’antica geografia e mitologia, nomi che rimangono anche nella moderna areografia (mappa di Marte). Oltre alla mappa, all’articolo erano allegate una descrizione stereografica dell’emisfero australe del pianeta, e varie proiezioni ortografiche con centro a varie longitudini e latitudini. Mancava la descrizione dell’emisfero boreale, non visibile durante l’opposizione del 1877-78.

Le immagini evidenziavano da una parte l’eccellente qualità del rifrattore Merz, e dall’altra la diligenza e l’abilità osservativa dell’astronomo milanese, in grado di cogliere particolari che erano sfuggiti a osservatori con telescopi molto più potenti.

Dal punto di vista della rappresentazione Schiaparelli usava una tecnica diversa da quella usata dai suoi predecessori. Questi ultimi davano maggiore importanza al colore o al tono dell’immagine piuttosto che alla linea e al tratto: da questo derivava una descrizione del pianeta come un insieme di macchie.

Il nostro, invece, si concentrò sulla linea e sui contorni, prestando attenzione anche a minimi particolari visualizzati nelle osservazioni. Questo gli consentiva di trasformare un’osservazione qualitativa in una descrizione basata sulla geometria e sul calcolo, in analogia alla descrizione della superficie terrestre. E in questo egli fu un vero pioniere: era la prima volta che per le osservazioni planetarie si introduceva la metodologia utilizzata nelle carte terrestri.

Tutto ciò fu molto apprezzato dagli astronomi; ma quello che attirò maggiormente l’attenzione, anche dei non addetti ai lavori, fu l’uso di termini come ‘mari’, ‘terre emerse’ o ‘canali’, sebbene Schiaparelli non li avesse introdotti e sebbene ammonisse di non prendere queste indicazioni troppo alla lettera.

L’uso di questi termini era determinato dall’analogia con fenomeni terrestri: come si presenterebbe la Terra se fosse osservata da Marte? I continenti terrestri riflettono una parte notevole della luce che ricevono dal Sole e, se fossero osservati da Marte, risulterebbero luminosi. I mari della Terra, invece, composti di un liquido trasparente, assorbono una parte della luce solare e, se fossero osservati da Marte, apparirebbero macchie oscure.

Nella terminologia degli studiosi di Marte, quindi, le macchie scure del pianeta erano battezzate ‘mari’ e le parti più chiare ‘continenti’; era, comunque, difficile far credere al lettore non esperto che l’uso di termini così ‘terrestri’ fosse un puro artifizio linguistico: era inevitabile che a nomi uguali fossero associati oggetti uguali.

Un altro elemento che indusse i non addetti ai lavori a credere Marte sempre più simile alla Terra fu il fenomeno confermato da Schiaparelli, e già osservato da W. Herschel e da altri, della variazione periodica dell’estensione della superficie delle calotte polari. L’astronomo milanese dedusse che le calotte marziane erano il risultato della condensazione dei vapori dell’atmosfera del pianeta, in analogia all’alternarsi delle stagioni che provoca lo scioglimento e la comparsa delle nevi sulla Terra.

Infine, dall’osservazione di vapori, nuvole e ghiacci dedusse l’esistenza di acqua sul pianeta, peraltro suggeritagli dalle osservazioni spettroscopiche di W. Huggins e altri.



7. La prima memoria su Marte pubblicata da Schiaparelli, e quelle posteriori, diedero luogo, nei decenni successivi, a una delle più appassionanti controversie sulla natura delle strutture che si osservavano su Marte e sulla possibilità che esse fossero calpestate e, probabilmente, progettate e costruite da esseri intelligenti. Alle discussioni che ne seguirono parteciparono non solo astronomi professionisti ma anche non addetti ai lavori che, anche attraverso articoli pubblicati su quotidiani, venivano a conoscenza delle nuove scoperte e delle loro interpretazioni.

Fu uno dei primi fenomeni di diffusione di problematiche scientifiche all’esterno della comunità degli specialisti che, inesperta, si fece cogliere di sorpresa dalla commistione di elementi scientifici ed extra-scientifici che alimentava la controversia. Lo stesso Schiaparelli non sempre riuscì a partecipare al dibattito con l’occhio freddo e vigile dello scienziato, come sarebbe stato suo intendimento. Si sa che lo scienziato milanese partecipò a una seduta spiritica per venire in contatto con eventuali abitanti di Marte. Faceva da tramite per l’improbabile incontro con i ‘marziani’ la famosa medium Eusapia Paladino che già aveva attirato l’attenzione di importanti intellettuali, scienziati e filosofi come Cesare Lombroso, Pierre Curie, Arsène d’Arsonval, Henry Bergson. Il fenomeno ebbe un’ampia eco sui giornali quotidiani e Luigi Barzini senior ne parlò sul Corriere della Sera nel 1907.

Dopo la prima memoria pubblicata negli Atti della R. Accademia dei Lincei, Schiaparelli pubblicò sulla stessa rivista, tra il 1878 e il 1910, altre sei memorie per un totale di oltre 600 pagine. La numerazione dei paragrafi è progressiva da 1 a 1052, e sta a indicare il disegno unitario che le ispira. Le sette memorie si riferiscono a osservazioni di Marte eseguite nelle opposizioni del 1877-78, del 1879-80, del 1881-82, del 1883-84, del 1886, del 1888 e del 1890.

Schiaparelli continuò ad osservare Marte dopo il 1890, ma non se la sentì di pubblicare altre memorie, corredate da disegni, relative alle opposizioni successive. Temeva, infatti, che il progressivo indebolimento della vista potesse farlo incorrere in gravi errori di rappresentazione. Egli lesse, nel gennaio 1910, all’Accademia dei Lincei, pochi mesi prima della morte, l’ultima memoria relativa alle osservazioni e disegni fatti durante l’opposizione del 1890.

Dopo il 1890 pubblicò sulla rivista Natura e Arte tre articoli su Marte di carattere generale e scritti per un pubblico non specialista: in essi l’autore parla con estrema franchezza delle motivazioni profonde che lo avevano condotto a interessarsi del pianeta Marte e si azzarda a fornire un quadro unitario, sulla base dei risultati delle osservazioni, delle possibilità di vita sul pianeta. I tre articoli sono pubblicati in questo volume e di essi parleremo in seguito.



8. La mappa e i disegni allegati alla prima memoria pubblicata negli Atti della R. Accademia dei Lincei mostravano dettagli che nessuna altra carta aveva: il pianeta, nel suo complesso, si presentava come un agglomerato di terre emerse, circondate da un grande oceano, colorato di tenue azzurro, che si insinuava tra di esse e formava vari mari. Nella carta sono indicati ‘isole’, ‘istmi’, ‘stretti’, ‘canali’, ‘penisole’, ‘promontori’; secondo Schiaparelli tali denominazioni, prese a prestito dalla topografia terrestre, sono un semplice artifizio per aiutare la memoria ed evitare lunghe perifrasi. Ad ognuno dei luoghi individuati, e precisamente collocati rispetto al reticolo dei meridiani e dei paralleli, Schiaparelli assegnò nomi tratti dalla geografia poetica e dall’archeologia mitica, mentre nella carta di R. A. Proctor i luoghi erano individuati da nomi di astronomi. Ma non fu solo un esercizio di raffinata erudizione; il pianeta descritto da Schiaparelli aveva così tanti particolari in più rispetto alla carta di Proctor da esaurire ben presto i nomi disponibili di astronomi.

Molto modestamente Schiaparelli afferma di non voler sollecitare l’approvazione della sua nomenclatura da parte degli astronomi, né l’onore di passare nell’uso generale: in effetti la sua nomenclatura è quella tuttora usata. Avrebbe potuto usare delle lettere dell’alfabeto o dei numeri come avevano fatto precedentemente Johann Heinrich Maedler e Gerard Kaiser; ma era più facile ricordare nomi, così evocativi di un’aurea classicità, piuttosto che numeri e lettere.

Schiaparelli è, comunque, un minimalista quando attribuisce ai nomi classici solo una funzione mnemonica. Basta leggere il suo articolo per rendersi conto del complesso processo di assegnazione di un nome a un luogo e del piacere da lui provato nel lasciarsi guidare dall’analogia tra la forma del luogo e il nome classico prescelto; seguiamolo per un attimo nelle sue peregrinazioni intellettuali: "Al nascere della Geografia matematica presso i Greci l’antico Dicearco pose per base della descrizione della Terra conosciuta il suo celebre diaframma, cioè una linea fondamentale, che correva dalle Colonne d’Ercole alle estremità orientali dell’Asia allora conosciuta, stringendosi alle rive settentrionali del Mediterraneo, al Monte Tauro, ed alle sue continuazioni verso Oriente. Una simile guida per procedere ordinatamente nella descrizione di Marte ci offre la linea sinuosa, che dal fondo della Gran Sirte va pel Corno d’Ammone a costeggiare le rive settentrionali del Mare Eritreo, e di là girando intorno alla Terra delle Meraviglie (Thaumasia) per le Colonne d’Ercole segue la lunga serie dei mari interni dell’emisfero australe, cioè il Mare delle Sirene, il Mare Cimmerio, il Mar Tirreno, per metter di nuovo capo alla Gran Sirte." (Prima memoria dei Lincei, 1878, p. 46).

Oltre a luoghi molto ‘terrestri’ sia nei nomi che nella rappresentazione, Schiaparelli descrive anche processi meteorologici che avvenivano nell’atmosfera di Marte e variazioni delle dimensioni della calotta polare australe, l’unica visibile nel 1877-78. Quanto alla natura del ghiaccio della calotta Schiaparelli, anche se con qualche dubbio, ipotizza che sia acqua allo stato solido, sulla base delle osservazioni spettroscopiche di W. Huggins e di altri.

Alla fine della memoria Schiaparelli abbozza un quadro interpretativo, ipotetico, delle osservazioni fatte: l’unico presentato nelle sette memorie pubblicate negli Atti della R. Accademia dei Lincei. In seguito si pentì di essersi lasciato andare a questo tipo di considerazioni.

La presenza di nevi polari, di nubi e di nebbie dimostrano, secondo Schiaparelli, che nell’atmosfera di Marte esiste una circolazione meteorologica: in certe regioni si sollevano vapori, e in altre si condensano. Una tale circolazione non può avvenire solo in alto, ma deve necessariamente coinvolgere la superficie del pianeta. Se i vapori di Marte si condensano nelle calotte sotto forma di cristalli di neve, da qualche altra parte si condenseranno sotto forma liquida. Tali condensazioni liquide si raccolgono nelle parti più basse del pianeta e nascono così mari più o meno vasti. Ai mari l’acqua arriva attraverso canali: è quindi altamente plausibile l’ipotesi di una costituzione marittima e continentale della superficie di Marte.

Il quadro presentato da Schiaparelli non lasciava dubbi sulla profonda analogia che egli riscontrava tra Marte e la Terra, il tutto presentato con grande dovizia di particolari, collocati in un quadro logico razionale, esattamente descritti con linguaggio tecnico adeguato ad un articolo scientifico di carattere astronomico e con tutte le difficoltà di lettura e di comprensione che articoli del genere hanno per i non addetti ai lavori.

C’erano nell’articolo, però, troppi elementi che suscitavano curiosità nelle persone comuni: non è di tutti i giorni leggere che un astronomo affidabile come Schiaparelli, con la precisione e la cautela che richiede ogni ipotesi scientifica, ipotizza che esista nel Sistema Solare un altro pianeta che è del tutto simile alla Terra. In particolare quello che destava maggior sensazione era la scoperta dei canali: già intriganti di per sé, essi acquisirono un significato del tutto particolare a causa dell’ambiguità del termine nella lingua italiana rispetto a quella inglese. In quest’ultima, infatti, canale può essere tradotto sia come ‘canal’ che come ‘channel’ (Suez e Manica).

Nel primo caso indica una canale artificiale, mentre nel secondo un canale naturale. Essendo stato tradotto ‘canal’ i lettori di lingua inglese capivano che si aveva a che fare con canali artificiali e quindi, implicitamente, supponevano la possibile esistenza di esseri intelligenti in grado di progettarli e costruirli. Subito Camille Flammarion, in Francia, parlò di abitanti di Marte molto diversi da noi, in grado di volare, a causa della gravità più bassa di quella sulla Terra.

Dal momento che nello stesso periodo 1877-78 Asaph Hall, a Washington, aveva annunciato la scoperta di due satelliti di Marte, rafforzando ancora l’idea che esso fosse anche in questo simile alla Terra, Flammarion immaginò che anche sui piccoli satelliti di Marte potessero esserci insetti intelligenti, naturalmente microscopici. Il ragionamento di Flammarion non era molto rigoroso, ma egli era un abile divulgatore e contribuì in maniera determinante a diffondere le notizie su Marte anche in ambienti non scientifici.

Sarebbe troppo lungo analizzare la sterminata documentazione che testimonia della diffusione del problema della vita su Marte tra i non addetti ai lavori negli ultimi venti anni del secolo scorso. Ci basti citare un episodio: nel 1899 lo psicologo ginevrino T. Flournoy pubblicò il libro Dalle Indie al pianeta Marte dove racconta il caso di una donna che, in stato ipnotico, visita Marte e ne descrive, anche con disegni, i paesaggi, gli abitanti, gli usi, i costumi, l’organizzazione sociale e, addirittura, il linguaggio e la scrittura. E’ probabile che la donna fosse venuta a conoscenza delle tematiche riguardanti Marte attraverso articoli comparsi anche su quotidiani come Le Figaro, che riferivano delle scoperte di Schiaparelli e di C. Flammarion, esplicitamente citati dall’autore del saggio. La cosa si prestò a delle facili ironie quando un altro autore riportò il caso di una donna che descriveva i marziani e la loro lingua: le descrizioni delle due donne erano completamente diverse. Qualcuno attribuì, scherzosamente, le diversità al fatto che le due donne avevano visto parti differenti del pianeta.



9. Marte si presentò di nuovo in buone condizioni di visibilità durante l’opposizione del 1879-80. Schiaparelli non si lasciò sfuggire quest’occasione per tornare sull’argomento: le sue osservazioni furono sostanzialmente rivolte ad una conferma, approfondimento ed estensione di quelle precedenti. In questa opposizione era visibile l’emisfero boreale del quale fu possibile fornire una descrizione altrettanto dettagliata di quella dell’emisfero australe osservato nell’opposizione precedente.

Schiaparelli pubblicò, nel 1881, la memoria con i dati osservativi rilevati durante l’opposizione del 1879-80: essa era corredata da una mappa in proiezione di Mercatore, dalle descrizioni stereografiche dei due emisferi del pianeta e da varie proiezioni ortografiche con centro a varie longitudini e latitudini.

Durante questa opposizione Schiaparelli adattò all’oculare del Merz un vetro di colore rosso-giallo in modo da bloccare i pochi raggi azzurri che avrebbero disturbato l’osservazione. Fissò, poi, 114 punti fondamentali e corresse alcuni dettagli della carta precedente. L’astronomo milanese rimase colpito dai grandi mutamenti che percepiva essere avvenuti sulla superficie del pianeta rispetto all’opposizione del 1877-78: alcuni di essi vennero attribuiti a cambiamenti atmosferici del pianeta, ma altri vennero attribuiti a fenomeni meno aleatori. Molti canali avevano cambiato direzione e altri si erano talmente ramificati da renderne impossibile l’individuazione.

Il fatto che ci fossero cambiamenti sulla superficie del pianeta, osservabili anche a una distanza di tempo così breve, colpì molto Schiaparelli.

Le variazioni dimostravano che su Marte era attivo un grandioso sistema di processi naturali: il pianeta non era quindi un arido deserto di sassi. Secondo Schiaparelli, Marte viveva, e la sua vita si manifestava alla superficie come un insieme molto complicato di fenomeni, una parte dei quali si svolgeva su una scala abbastanza grande da essere osservabile da Terra. Vi era sul pianeta, continua l’astronomo milanese, un mondo intero di cose nuove da studiare, tali da destare la curiosità sia degli astronomi che dei filosofi.

L’astronomo milanese era fortemente interessato alla teoria dell’evoluzione. Nel 1898 pubblicherà il saggio “Forme geometriche pure: loro parametri e loro classificazione”. In esso Schiaparelli dimostrava che, come in un sistema di forme geometriche l’infinita varietà di queste deriva dalla variazione dei parametri di una medesima forma fondamentale, così i tipi organici della natura possono derivare dalle variazioni di un certo numero di parametri secondo una legge unica. Il lavoro doveva servire, secondo Schiaparelli, a risolvere alcuni problemi della teoria darwiniana dell’evoluzione, di fronte ai quali s’era arrestato lo stesso Darwin, del quale Schiaparelli si dichiarava convinto estimatore.

Le osservazioni dell’opposizione del 1879-80 furono fatte nel periodo fine settembre 1879-fine marzo 1880. Nella memoria pubblicata Schiaparelli mantenne l’ordine e la divisione adottata in quella precedente. E, come in quest’ultima, gli argomenti trattati erano: a) l’asse di rotazione del pianeta, b) la posizione dei punti principali da servire da base per la mappa, c) la descrizione della superficie, d) lo studio delle particolarità fisiche della superficie e la discussione delle ipotesi che possono render conto dei fatti osservati.

Particolarmente interessante è la nuova mappa del pianeta, disegnata in accordo alle osservazioni più recenti. La mappa è molto più ricca di dettagli della precedente ed è in bianco e nero con sfumature di grigio.

E’, a mio avviso, una delle più belle e, probabilmente, una delle più fedeli alle effettive osservazioni; i contorni netti che caratterizzano la mappa del 1878 sono stati sostituiti da leggere sfumature dolcemente dissolventesi. Schiaparelli, comunque, non era molto contento del processo litografico che aveva alterato, a suo dire, le proporzioni di chiaro e di scuro; ma probabilmente anteponeva a quello che la sua mano aveva disegnato quello che gli suggeriva la sua mente: vale a dire l’esistenza di strutture dal netto profilo, interpretabili come canali artificiali.

In questa seconda memoria non si abbandona a nessuna interpretazione dei dati osservativi. Schiaparelli non aveva gradito quelle che considerava forzature del suo pensiero operate da Flammarion e da altri e si rammaricava che nella precedente memoria non avesse distinto abbastanza i fatti dalle interpretazioni: una preoccupazione francamente eccessiva.



10. La risposta a molti dei quesiti posti dalla prime due memorie fu cercata nelle osservazioni eseguite durante l’opposizione del 1881-82. Schiaparelli pubblicò i risultati delle sue osservazioni in una memoria del 1886: essa è corredata da una mappa del pianeta nella proiezione di Mercatore con i toponimi, dalla stessa mappa senza toponimi per rendere più visibili i dettagli della superficie, da una descrizione stereografica dell’emisfero boreale e da alcuni disegni.

Ma invece di rispondere ai quesiti della precedente, la nuova opposizione ne pose degli altri e ancora per merito di Schiaparelli che affermò di aver osservato il fenomeno della geminazione: a destra o a sinistra di un canale preesistente si formava un altro canale uguale e parallelo al primo, a una distanza che variava dai 350 ai 700 km. Schiaparelli era molto dubbioso sul fenomeno e addirittura temeva di essere preso in giro; ma le sue osservazioni furono confermate anche da altri astronomi (Henry Perrotin e William H. Pickering).

La notizia apparve sul Times di Londra del 10 aprile 1882 in un lettera scritta da Thomas William Webb che discusse il fenomeno in maniera più completa su Nature. La notizia apparve anche su Scientific American; la cosa buffa era che il prestigioso giornale scientifico citava come fonte di notizia il quotidiano London Telegraph.

Fu Proctor, l’astronomo che aveva disegnato la mappa di Marte più completa prima di quella di Schiaparelli, che per primo avanzò l’ipotesi che i canali fossero stati costruiti da esseri intelligenti. La minore gravità di Marte consentiva opere di ingegneria molto più imponenti di quelle che era possibile costruire sulla Terra.

La memoria riguardante l’opposizione 1881-82 prendeva in considerazione osservazioni eseguite tra l’ottobre 1881 e l’aprile 1882. Aveva la stessa struttura delle precedenti e concedeva poco spazio all’esposizione di modelli interpretativi dei dati osservativi. Ma il fenomeno delle geminazioni era troppo singolare per poter essere messo senza commento insieme ad altre osservazioni. Tra l’altro esso dava un aspetto del tutto particolare alla mappa che, anche per questo, si presentava completamente diversa dalle precedenti. In effetti la terza sezione della memoria, per un totale di una decina di pagine, è interamente dedicata al fenomeno delle geminazioni.

Innanzitutto Schiaparelli assicura che il fenomeno non dipende da illusione ottica, come può capitare nell’osservazione di stelle doppie molto strette quando una linea, prima considerata unica, viene sdoppiata per effetto di migliori condizioni osservative. Elenca poi con dovizia di particolari tutte le geminazioni che ha osservato e riporta, infine, osservazioni di geminazioni fatte da altri astronomi.

Perché questa difesa così appassionata di un dato osservativo? Perché tra tutti i fenomeni osservati e descritti da Schiaparelli dal 1877 quello delle geminazioni era un suo contributo originale alla fenomenologia di Marte, a differenza degli altri fenomeni come ‘continenti’, ‘mari’, ‘canali’ che egli non aveva scoperto, sebbene avesse portato la loro descrizione a un livello di dettaglio assolutamente inimmaginabile.

Il fenomeno delle geminazioni poteva costituire, inoltre, la prova tanto cercata dell’esistenza di esseri intelligenti sul pianeta: il tema era troppo ‘ipotetico’ perché Schiaparelli lo esponesse nella memoria pubblicata negli Atti della R. Accademia dei Lincei, dove egli si limitava a descrivere i ‘fatti’. Ed egli, infatti, lo espose nel primo articolo pubblicato su Natura e Arte, del quale parlerò tra breve.



11. L’opposizione del 1883-84 non consentì osservazioni molto raffinate. Come per le altre opposizioni Schiaparelli compì una serie di regolari osservazioni pubblicate in una memoria del 1896, corredata da una mappa e vari disegni di particolari del pianeta.

Anche l’opposizione del 1886 non fu molto favorevole all’osservazione, ma per Schiaparelli c’era una grossa novità: il glorioso telescopio Merz di 218 mm era andato in pensione. Proprio la prima memoria su Marte aveva convinto il governo italiano, all’interno del quale Schiaparelli vantava amici e estimatori, a finanziare l’acquisto di un nuovo strumento, un Merz-Repsold di 488 mm di diametro che per un anno detenne il primato dello strumento più grande del mondo, superato nel 1887 da quello di Nizza e poi da quello del Lick Observatory in California.

La memoria con i risultati delle osservazioni fu pubblicata nel 1897 e corredata solo della mappa dell’emisfero boreale e da vari disegni di particolari.

Anche l’opposizione della primavera-estate del 1888 non presentò Marte nelle migliori condizioni: il pianeta era molto basso sull’orizzonte. Inoltre dal momento che il clima del periodo impediva di ottenere buone immagini telescopiche a notte inoltrata, le ore di osservazione furono molto poche. Solo in due serate Schiaparelli poté ‘utilizzare tutta la forza’ del nuovo strumento. La memoria riguardante l’opposizione apparve nel 1899: essa è corredata di due emisferi e di disegni di vari particolari.

Furono ancora osservati i canali, ma la cosa più interessante che capitò durante questa opposizione fu l’osservazione da parte di H. Perrotin a Nizza e di Schiaparelli della scomparsa del ‘continente’ marziano (grande quanto la Francia) chiamato da Schiaparelli Lybia, come se inondato da acqua e quasi completamente ricoperto. Ma Asaph Hall a Washington non era riuscito a vedere i canali; al Lick Observatory, invece, avevano visti i canali, ma non cambiamenti del ‘continente’ Lybia.

Il partito degli ‘anticanalisti’ diventava sempre più agguerrito: esso oramai annoverava tra i suoi adepti anche R. A. Proctor, l’autore della mappa di Marte del 1867, il quale sosteneva la tesi della diffrazione per spiegare i canali; William H. Pickering, invece, dalla constatazione che Perrotin aveva disegnato un ‘canale’ che attraversava un ‘oceano’, concludeva che se l’osservazione era corretta o i canali non erano canali o gli oceani non erano oceani; Pickering avanzò l’ipotesi che le ‘strisce’ fossero dovute a differenze di vegetazione; Edward Walter Maunder suggerì l’idea che i canali fossero illusioni ottiche.

L’opposizione del giugno 1890 fu l’ultima della quale Schiaparelli pubblicò i risultati in una memoria pubblicata venti anni più tardi, pochi mesi prima della sua morte. La memoria è corredata da una mappa del pianeta, dalla mappa dell’emisfero boreale e da vari disegni di particolari del pianeta.

Anche questa opposizione, comunque, non fu molto favorevole all’osservazione in quanto il pianeta era troppo basso sull’orizzonte. Questo limite fu comunque compensato dalla tranquillità dell’atmosfera e dal grande diametro del disco del pianeta.

Il numero di persone che videro i canali aumentò e William H. Pickering affermò che egli aveva fotografato una tempesta di neve che, nelle parole di Flammarion, in 24 ore coprì un territorio più grande degli Stati Uniti.



12. Con l’opposizione del 1890 Schiaparelli chiuse il ciclo delle osservazioni sul pianeta iniziato nel 1877 e condensato nelle sette voluminose memorie pubblicate negli Atti della R. Accademia dei Lincei.

Cosa emergeva da questo imponente lavoro? In estrema sintesi potremmo dire i canali e le geminazioni, descritti nelle prime tre memorie relative alle tre opposizioni del 1877-78, del 1879-80 e del 1881-82. Dalla quarta memoria, in poi, è Schiaparelli stesso ad affermare che nulla o ben poco si trovò di nuovo.

La situazione dopo il 1890 si presentava piuttosto ingarbugliata: alcuni astronomi non erano riusciti ad osservare né i canali né le geminazioni, altri avevano osservato i canali e non le geminazioni, altri ancora pensavano che fosse impossibile osservare da Terra gli uni e le altre, altri invece li avevano osservati e descritti: per questi ultimi il problema era quello di interpretarne il significato.

Schiaparelli agli inizi degli anni ‘90 era fedele al suo credo metodologico esposto ancora nella memoria riguardante l’opposizione del 1879-80: canali e geminazioni sono elementi fattuali, ma è prematuro avanzare delle congetture sulla loro natura.

Per altri studiosi, invece, la fase dell’interpretazione era oramai ad uno stadio molto avanzato: il più importante avvenimento in questa direzione fu la pubblicazione, nel 1892, da parte di Flammarion, del libro La planète Mars et ses conditions d’habitabilité.

Flammarion era un convinto assertore dell’esistenza dei canali, delle geminazioni e dell’esistenza sul pianeta di esseri intelligenti. Il suo stile era molto colorito e fantasioso e le sue speculazioni erano considerate ardite da molti astronomi; lo stesso Schiaparelli era molto cauto verso le affermazioni di Flammarion, sebbene l’astronomo francese fosse un acceso estimatore di Schiaparelli, del quale esaltava la qualità e la precisione delle osservazioni.

L’interesse sempre più crescente per il pianeta Marte, che sembrava nascondere un esaltante segreto destinato a essere svelato in tempi brevi, stimolò la corsa all’osservazione del pianeta, favorita dalle ottime caratteristiche dell’opposizione del 1892. Nel periodo 1892-93 furono pubblicati un centinaio di articoli che spaziavano dalle conferme dei canali e delle geminazioni di Schiaparelli fino alle più ardite interpretazioni; ma incominciava a moltiplicarsi anche il numero di coloro che sostenevano che canali e geminazioni fossero illusione ottica.

Schiaparelli, come abbiamo detto, dopo il 1890 osservò ancora il pianeta ma non fece disegni a causa del deteriorarsi della vista all’occhio sinistro col quale osservava e decise di non pubblicare le sue osservazioni.

Ciononostante l’articolo più letto nel periodo fu quello che l’astronomo milanese pubblicò nel 1893 sulla rivista Natura e Arte, tradotto in inglese e perfino in russo. Vale la pena di ripercorrere il filo del ragionamento di Schiaparelli.



13. Nella prima parte dell’articolo Schiaparelli dà informazioni sui miti e leggende che aleggiavano intorno al pianeta, rosso simbolo del dio della guerra, fin dall’antichità. In questa parte l’astronomo milanese fa sfoggio della sua cultura classica, passando dai miti greci al Somnium Scipionis di Cicerone fino a Fontenelle, Voltaire, Poe. Caratteristica comune a quasi tutti gli scritti riguardanti il pianeta è quella di essere o una pura immaginazione poetica o scherzi di ingegno. Ma da questi pur immaginifici scritti scaturisce l’idea che la vita riempia l’universo e che ad essa vada associata l’intelligenza. E come abbondano gli esseri a noi inferiori, così possono in altre condizioni esisterne di quelli immensamente più capaci di noi.

Nei tempi moderni Flammarion aveva tentato di sottrarre il tema della pluralità dei mondi abitati da esseri intelligenti alla fantasia dei poeti e di circondare l’ipotesi della pluralità dei mondi di tutto l’apparato scientifico attualmente a disposizione.

Fino ad ora, prosegue Schiaparelli, sono stati esclusi come possibili custodi di forme di vita intelligenti la Luna e tutti i pianeti del Sistema Solare ad eccezione del pianeta Marte, che negli ultimi tempi ha dato luogo a grandi speranze di poter individuare vita intelligente extra-terrestre. Ed è per questo che Schiaparelli si accinge a descrivere, in maniera sistematica, ma sintetica, tutti i risultati certi acquisiti nell’osservazione del pianeta e le loro possibili interpretazioni.

La prima descrizione organica della superficie del pianeta si deve a J. H. Maedler nel 1830. Progressi ulteriori si ottennero intorno al 1860 con i lavori di A. Secchi, William R. Dawes, G. Kaiser e J. N. Lockyer. Secondo Schiaparelli sia dalle osservazioni antiche che da quelle più moderne è possibile trarre la convinzione che la disposizione delle strutture scure che si notano sul pianeta cambia di poco nei suoi tratti principali, così come la distribuzione dei mari e delle terre asciutte sulla Terra.

La stabilità nelle forme generali è accompagnata da una forte variabilità dei particolari: il che suggerisce un sistema grandioso di processi naturali, che conferisce allo studio di Marte un interesse molto più grande di quello che deriverebbe dal semplice studio topografico di una superficie inerte ed immutabile come quella della Luna.

Schiaparelli passa poi alla descrizione di alcune caratteristiche del pianeta opportunamente selezionate al fine di poggiare su di esse la sua interpretazione. Parte dalla descrizione delle calotte polari coperte da nevi e da ghiacci: esse si accrescono col sopravvenire dell’inverno e diminuiscono in estate. L’analogia con i cicli terrestri è completa, sebbene le stagioni marziane durino quasi il doppio di quelle terrestri a causa del periodo di rivoluzione di Marte intorno al Sole, quasi doppio di quello terrestre.

La presenza intermittente di neve e ghiaccio ai poli marziani indica che il pianeta è circondato da un’atmosfera in grado di determinare movimenti di vapor acqueo da un luogo all’altro.

Il vapor acqueo nell’atmosfera marziana è il primo assunto dal quale prende le mosse il ragionamento dell’astronomo milanese. I passi successivi sono conseguenze logiche di questo primo passo. Per questo Schiaparelli, per affermare la presenza di acqua su Marte, non si affida solo all’analogia con la Terra, ma si basa anche sull’indagine spettroscopica di W. Huggins e Hermann Carl Vogel che avevano confermato la presenza di acqua. Purtroppo per Schiaparelli il primo passo del ragionamento è sbagliato, come dimostrerà nel 1894 William Wallace Campbell che, con misure spettroscopiche, non fu in grado di individuare acqua sul pianeta e scoprì l’errore che avevano commesso W. Huggins e H. C. Vogel i quali affermavano di averla rilevata sotto forma di vapore.

Sia Schiaparelli che altri non diedero, all’inizio, molto peso all’osservazione di Campbell; e quando essa cominciò a mettere in discussione l’intero castello delle conoscenze su Marte, Schiaparelli era troppo vecchio per riformulare le sue ipotesi sulla base delle nuove evidenze. Ma torniamo all’articolo.

Dopo aver descritto le calotte, Schiaparelli passa alla descrizione delle altre parti del pianeta. Esso è costituito in gran parte da un grande mare che si insinua in un dedalo di terre emerse che vengono chiamate ‘continenti’; essi sono solcati per ogni verso da una rete di numerose linee sottili il cui aspetto è molto variabile: sono i famosi canali.

Schiaparelli è molto deciso nel sottolineare che i canali, così come le calotte polari, non sono delle nuove entità osservative da lui scoperte, ma sono la conseguenza di osservazioni e inferenze logiche fatte anche da altri.

I canali, in origine, sono stati determinati dalle condizioni geologiche del pianeta: essi costituiscono un vero sistema idrografico. Quando le nevi polari si sciolgono essi diventano più larghi: le loro dimensioni seguono il ciclo stagionale delle nevi.

Il fenomeno più sorprendente è quello delle geminazioni: esso sembra prodursi nel periodo che precede e in quello che segue le inondazioni determinate dallo scioglimento delle nevi nell’emisfero boreale. Le geminazioni sono un fenomeno che si verifica realmente sulla superficie del pianeta; anche altri osservatori l’hanno notato.

Le geminazioni sono fenomeni così regolari, continua Schiaparelli, che alcuni studiosi li hanno attribuiti all’opera di esseri intelligenti che abitano il pianeta. Lui si astiene dal prendere posizione rispetto a questa ipotesi, ma non esclude che sia quella giusta. Essa potrebbe spiegare la grande variabilità dell’aspetto delle geminazioni da una stagione all’altra dovuta, ad esempio, ad estesi lavori di coltivazione e di irrigazione. E sarebbe possibile anche immaginare l’alternarsi di differenti vegetazioni su vaste aree o la generazione di numerosissimi piccoli animali.

Perché l’articolo di Schiaparelli destò tanto interesse? Perché per la prima volta venivano presi in considerazione tutti gli elementi del puzzle Marte e si tentava una loro sistemazione. L’articolo presenta una notevole logica interna, un uso rigoroso dell’evidenza osservativa disponibile prima del 1877 e di quella raccolta dopo dai più importanti osservatori e, infine, un eccitante sotto tema: la vita su Marte.



14. L’occasione per nuove controversie fu offerta dall’opposizione del 1894.

Come abbiamo detto, nel 1894 W. W. Campbell osservò Marte con uno spettroscopio collegato al rifrattore del Lick Observatory e non fu in grado di cogliere nessuna traccia di vapor acqueo nell’atmosfera marziana: improvvisamente i laghi, i canali, gli oceani, le tempeste di neve, le inondazioni, gli abitanti svanivano. La cosa sembrava talmente inverosimile che Campbell fu preso pesantemente in giro.

Nello stesso anno E. W. Maunder che, precedentemente, durante un’osservazione di macchie solari invisibili separatamente, aveva constatato che, viste insieme, si presentavano come una linea, fece esperimenti con punti disegnati su un foglio di carta. Egli dimostrò che un insieme di punti, irregolarmente disposti lungo una linea, con una distanza tra i vari punti pari a tre volte il diametro di un punto, era visto come una linea retta. Dal momento che i canali disegnati da Schiaparelli e da altri giacciono al di sotto di questi limiti egli suggerì che i canali, le geminazioni e altri cambiamenti osservati fossero illusori.

Ma nessuno volle far caso alle evidenze contro i canali prospettate da Campbell e da Maunder.

Invece fece grande scalpore la discesa in campo a favore dei canali di Schiaparelli di Percival Lowell. Nel 1893, dopo una brillante carriera diplomatica egli si era dedicato completamente all’osservazione di Marte. P. Lowell fece costruire a sue spese un nuovo osservatorio astronomico a Flagstaff in Arizona con lo scopo di investigare le possibilità di vita su altri mondi.

Lowell incontrò Schiaparelli, "cher Maître Martien", a Milano durante il suo viaggio in Europa del 1895-96 e certamente parlarono dell’articolo "La vita sul pianeta Marte" che Schiaparelli aveva scritto per Natura e Arte nel 1895.

Nell’articolo, ripubblicato in questo volume, Schiaparelli delinea un quadro unitario delle osservazioni e delle ipotesi intorno a Marte.

I canali, secondo l’astronomo milanese, costituiscono il sistema di irrigazione di Marte. Quello che noi osserviamo da Terra non sono i canali veri e propri ma la vegetazione che cresce per effetto dell’acqua proveniente dai poli e portata dai canali. A proposito delle geminazioni non rifiuta l’idea che esse siano dovute a esseri intelligenti.

Lo scenario potrebbe essere il seguente: ingegneri marziani hanno costruito dighe a vari livelli lungo i pendii di profonde valli attraversate da corsi d’acqua. Quando cominciano le inondazioni primaverili il Ministro dell’Agricoltura ordina l’apertura delle chiuse più elevate e riempie di acqua i canali superiori. L’acqua fluisce in due zone laterali più basse; in queste zone la valle cambia colore, e gli astronomi terrestri percepiscono una geminazione. Gradualmente l’acqua raggiunge le parti più basse della valle, fertilizzandole e producendo la comparsa di vegetazione che percepiamo come un singolo canale.

Secondo Schiaparelli sul pianeta deve esistere un ordinamento sociale adeguato a un sistema così complesso dal punto di vista tecnologico. Quello che secondo lui meglio si presta a una gestione non conflittuale delle risorse idriche è il socialismo collettivista. Ogni valle del pianeta costituirebbe un gigantesco falansterio, un autentico paradiso per i socialisti terrestri. Varrebbe la pena, afferma Schiaparelli, di indagare se ogni valle costituisca uno stato indipendente, all’interno di un sistema di federazioni, oppure sia una monarchia che gestisce con illuminata sapienza il complesso sistema delle acque.

Il funzionamento di un sistema così complesso presuppone, infine, che la Matematica, la Fisica, l’Idraulica, la Scienza delle costruzioni su Marte abbiano raggiunto un alto livello di sviluppo.

Ma a questo punto Schiaparelli si rende conto che ha abbondantemente infranto il confine tra ‘fatti’ e ‘opinioni’, e questa è una trasgressione per lui inaccettabile: decide perciò di scendere dall’Ippogrifo, invitando comunque il lettore a continuare la volata, se ne ha voglia.

L’articolo del 1895 costituisce il più anticonvenzionale degli scritti di Schiaparelli, sebbene non venga mai meno il rigore della ricostruzione, basata su un’attenta valutazione delle evidenze disponibili. Tuttavia in nessun altro scritto Schiaparelli si lanciò in considerazioni così ardite anche in campo sociale e politico, dove peraltro lui era stato sempre molto cauto.

Non a caso il commento che scrisse di suo pugno sull’esemplare che viene ristampato fu: Semel in anno licet insanire.



15. Le discussioni succedutesi all’opposizione del 1894 rafforzarono, complessivamente, le tesi di quanti sostenevano la possibilità della vita su Marte. L’ingresso in campo di Lowell ebbe certamente il suo peso, ma, a parte qualche voce isolata, i canali erano accettati come un dato osservativo, sebbene fossero grandi le divergenze sulla loro interpretazione.

Ma in quegli anni i risultati di W. W. Campbell e E. W. Maunder cominciavano a essere presi in considerazione ed essi mettevano in serio pericolo tutto l’apparato logico delle inferenze marziane. Se, come Campbell affermava, sul pianeta non c’è acqua, allora i ‘mari’ non sono mari, i ‘canali’ non sono canali e la vita non c’è.

Vincenzo Cerulli e Eugène Michael Antoniadi portarono alle estreme conseguenze la posizione di Maunder. Cerulli partiva da una semplice constatazione: Marte al telescopio è paragonabile alla Luna a occhio nudo. Allora il problema è se noi saremmo in grado di conoscere qualcosa della topografia lunare senza usare telescopi. Sulla Luna a occhio nudo noi non vediamo altro che macchie e strisce dalle quali è impossibile trarre alcuna ipotesi sulla natura fisica del nostro satellite. Inoltre il nostro occhio tende a raggruppare gli elementi nascosti nelle macchie in modo variabile a seconda della fase lunare e quindi è portato a scoprire variabilità che in realtà non esistono: esse dipendono unicamente dalle condizioni di illuminamento da parte del Sole.

Per quel che riguarda Marte, Cerulli sostiene che i canali sono linee di ombra lungo sottili regioni disseminate di deboli macchie scure. Dichiara poi che il 4 gennaio 1897 ha risolto il canale Lete in un complesso e indecifrabile sistema di piccolissimi punti distinti. Nota infine che se i canali fossero veri essi dovrebbero vedersi meglio quanto più il pianeta è vicino alla Terra e quando essi sono al centro del disco planetario piuttosto che ai bordi; ma questo non si verifica.

In definitiva, secondo Cerulli, è l’occhio che si fabbrica da sé i canali utilizzando elementi che si trovano ancora confusi nell’immagine del pianeta. E’ un’interpretazione dei canali non dissimile da quella che aveva dato Maunder. Come detto precedentemente Maunder aveva fatto un semplice esperimento: aveva disegnato su dischi macchie simili a quelle di Marte e aveva disseminato le aree chiare di ombre e punti grossolanamente allineati. I dischi furono mostrati a una certa distanza a un gruppo di ragazzi di Greenwich compresi tra i 12 e i 14 anni che furono invitati a ricopiarli. L’esperienza fu risolutiva: a una certa distanza i ragazzi trasformavano i chiaroscuri in ‘canali’ lineari rettilinei e tracciavano disegni che sembravano osservazioni di Marte fatte al telescopio. Addirittura uno di essi disegnò una geminazione e tracciò un canale in un’area totalmente bianca. L’esperienza fu ripetuta dall’astronomo americano Simon Newcomb su un gruppo di astronomi e il risultato fu identico.

E. M. Antoniadi all’inizio dell’opposizione del 1909 si trovava all’Osservatorio di C. Flammarion a Juvisy, non lontano da Meudon, e vi lavorava con un rifrattore di 24 cm d’apertura col quale aveva osservato a partire dal 1894, disegnando linee sottili semplici e doppie che somigliavano molto ai planisferi disegnati da P. Lowell.

Quando però, durante l’opposizione, fu montato a Meudon il nuovo rifrattore di 83 cm Antoniadi scoprì un mondo completamente diverso da quello che aveva disegnato fino ad allora.

Per varie settimane Marte mostrò ad Antoniadi la sua geografia dettagliata e varia, ricca di sfumature. Quando però la distanza del pianeta dalla Terra, dopo l’opposizione, cominciò a crescere allora Antoniadi vedeva linee diritte laddove c’erano dettagli e sfumature.

Antoniadi, quindi, dava la dimostrazione che con telescopi come quelli di Schiaparelli (al massimo 488 mm) o come quelli di P. Lowell che diaframmava a 38 cm il diametro del suo obiettivo per avere immagini più ferme, non si potevano risolvere le linee in punti distinti. La teoria di V. Cerulli dava poi la spiegazione fisiologica come da punti indistinti era possibile ricostruire linee, canali, geminazioni etc.

Una dimostrazione completamente diversa dell’inesistenza di acqua sul pianeta fu data dal fisico G. Johnstone Stoney; nel 1897 egli affrontò il problema dell’atmosfera di Marte esaminando quali gas potevano essere trattenuti dalla debole attrazione del pianeta. Egli giunse alla conclusione che il vapor acqueo marziano doveva essersi disperso da tempo nello spazio. Per l’assenza di acqua non c’era vegetazione e, in mancanza di piante verdi, non ci può essere ossigeno. L’atmosfera marziana era quindi costituita solo da gas pesanti come l’azoto, l’argon e l’anidride carbonica. A temperatura molto bassa l’anidride carbonica solidificava in masse bianche che si vedevano ai poli del pianeta.

Al quadro unitario delineato da Schiaparelli nel suo articolo del 1893 oramai se ne contrapponeva un altro: le calotte polari sono costituite da anidride carbonica allo stato solido; le linee che venivano interpretate come canali, osservate con strumenti più potenti, vengono risolte in punti scuri disposti, piuttosto casualmente, lungo strette regioni luminose; le geminazioni si producono quando queste regioni sono tanto ampie da costringere l’occhio a condurre due linee invece di una.

Se non c’è acqua non può esserci vita; i canali, se ci sono, sono naturali, e qualcuno probabilmente c’è; i marziani non hanno ragione di esistere.



16. E Schiaparelli? Non accettò mai queste conclusioni che mettevano in discussione una costruzione che aveva faticosamente elaborato negli ultimi trenta anni della sua esistenza, senza preoccuparsi che su temi così scabrosi avrebbe messo a repentaglio la stima della quale godeva nella comunità astronomica internazionale.

Era disposto a mettere in discussione l’artificialità dei canali, la possibilità della vita, la natura dei canali, anche ammettendo che potevano essere dovuti all’azione di forze fisico-chimiche e, in certi periodi, alla diffusione di formazioni organiche di larga estensione simile alla vegetazione delle steppe sulla Terra: non accettava però che venisse messa in discussione, addirittura, l’esistenza stessa delle linee.

Nell’articolo "Il pianeta Marte" pubblicato nel dicembre 1909 su Natura e Arte Schiaparelli ribadisce punto per punto le sue posizioni sul pianeta.

Fu una difesa puntigliosa di argomentazioni che egli considerava scientifiche a tutti gli effetti. Come tali esse erano soggette a controllo e revisione: "lo studio di tutti questi enigmi è appena cominciato; nulla ancora vi ha di certo sui principî a cui si dovrà appoggiare una razionale interpretazione dei medesimi". Ma non potevano essere liquidate senza articolata argomentazione.

Era una difesa, inoltre, della sua storia personale: ma non ne aveva bisogno. La comunità astronomica lo aveva già annoverato tra i più grandi astronomi di tutti i tempi come fondatore della planetologia.



17. Ho già accennato al fatto che, nel corso dell’Ottocento, era prevalente l’idea che compito dell’astronomo fosse quello di ricercare le leggi del moto degli oggetti celesti, in accordo al modello newtoniano-laplaciano: non rientravano tra i problemi da affrontare quelli riguardanti la costituzione dei corpi celesti, la loro descrizione e evoluzione nel tempo.

Schiaparelli, invece, mostrò uno spiccato interesse per la costituzione fisica di Marte. In questo era in sintonia con gli studi spettroscopici delle Stelle e del Sole di A. Secchi. Ognuno dei due studiosi aveva l’altro in gran stima, testimoniata dalla fitta corrispondenza che intercorse tra di loro.

Fino al 1877, comunque, quando iniziarono i suoi studi su Marte, Schiaparelli non ruppe con la tradizione osservativa del suo secolo, in quanto anch’egli eseguì studi e rilevò dati tipici dell’astronomia posizionale; e continuò a farlo anche dopo il 1877, quando iniziarono i suoi studi su Marte.

Egli però fu il primo osservatore che eseguì osservazioni miranti a studiare la natura fisica dei pianeti del sistema solare, seguendo un metodo rigoroso e basandosi, per l’interpretazione dei dati rilevati, sulle Scienze della terra: Geodesia, Geofisica, Meteorologia; un metodo che gli astronomi ortodossi consideravano estraneo alla tradizione di ricerca della loro disciplina.

Qual’era il contesto culturale e scientifico che stimolò Schiaparelli a rompere con la tradizione dell’astronomia posizionale e a intraprendere studi sul pianeta Marte?

E’ possibile individuare tre aree di interesse:

1) Schiaparelli era fortemente attratto dalle Scienze della Terra. Geodesia, Meteorologia, Mineralogia erano coltivate, con continuità e in profondità, dall’astronomo milanese;

2) Schiaparelli, come molti altri scienziati della sua epoca, considerava possibile l’esistenza di vita intelligente nell’Universo: era per l’astronomo un’esaltante sfida quella di poter individuare evidenze osservative favorevoli a un’ipotesi così esaltante;

3) Schiaparelli era un meticoloso osservatore e raccoglitore di dati: egli era fortemente convinto che fosse possibile ricavare regolarità e leggi dei fenomeni naturali da una loro opportuna analisi.



Prenderò in considerazione, nell’ordine, questi tre elementi nei paragrafi successivi.



18. Nel periodo di studio passato a Berlino tra il 1857 e il 1859 Schiaparelli aveva seguito corsi di Astronomia teorica, Meteorologia, Magnetismo Terrestre, Calorico raggiante, Storia della Fisica, Logica ed Enciclopedia delle Scienze filosofiche, Geografia Antica, Geografia Moderna.

Da una lettura dal fitto diario che tenne in quegli anni si può constatare l’interesse che egli mostrò per i corsi di meteorologia e di geografia. Esso non si esaurì con la fine dei suoi studi, ma costituì un settore di ricerca che fu coltivato con continuità nel corso della sua attività di astronomo.

Nei suoi scritti su Marte ci si rende conto dell’importanza che le sue nozioni di meteorologia hanno avuto nelle ipotesi da lui avanzate nella spiegazione dei fenomeni osservati.

Nella prima memoria pubblicata negli Atti della R. Accademia dei Lincei, Schiaparelli sottolinea l’importanza che lo studio accurato della superficie di Marte ha non solo per la storia delle formazioni planetarie, ma anche per la Geologia terrestre. La Luna è un corpo troppo diverso dalla Terra per poter ricavare informazioni utili sul nostro pianeta; lo studio di Marte è invece molto più promettente. Quintino Sella, mineralogista, fondatore del Club Alpino Italiano, politico, in una lettera scritta a Schiaparelli, gli riconosceva il merito di aver aperto, con i suoi studi marziani, un campo amplissimo alle investigazioni dei geologi.

Anche la Meteorologia terrestre potrà molto avvantaggiarsi dallo studio di quella marziana. Secondo Schiaparelli sulle nevi polari di Marte si sanno molte più cose di quelle che si sanno intorno a quelle terrestri. E, sebbene il sistema meteorologico generale di Marte sia diverso da quello terrestre, non c’è dubbio che potendo osservare Marte in un sol colpo d’occhio, esso potrà dare informazioni che sulla Terra richiedono il concorso di molti uomini e di complessi sistemi telegrafici.

Marte è, infatti, secondo l’astronomo milanese, una piccola Terra con mari, atmosfera, nuvole e venti, e ghiacci polari: un buon telescopio utile all’osservazione di Marte sarebbe meno costoso di una rete di osservatori meteorologici terrestri e ci darebbe informazioni addirittura più complete.



19. A partire dalla fine del Medio Evo si era andata diffondendo sempre più l’idea che non ci fosse ragione perché forme di vita intelligente fossero presenti solo sulla Terra. Fece sensazione, nel 1686, la pubblicazione del libro di Bernard le Bovier de Fontenelle Entretiens sur la pluralité des mondes. Presentato nella forma di sei dialoghi tra un filosofo e un’affascinante marchesa, ebbe immediatamente un inatteso successo e fu tradotto in una decina di lingue, sebbene fosse ancora inserito nell’Indice dei Libri proibiti dalla Chiesa Cattolica nel 1900.

Basandosi sulla cosmologia cartesiana dei vortici e sulla enorme messe di dati osservativi forniti dal telescopio a partire dal Sidereus Nuncius di Galileo Galilei, Fontenelle, copernicano convinto, miscelando scienza e fantascienza, parlava degli abitanti di Giove o di Venere, piuttosto che di quelli di Mercurio o Saturno. Anche la Luna e le comete erano abitate, ma non il Sole e le stelle.

Il libro di Fontenelle costituì il punto di partenza per considerazioni sempre più scientifiche sul problema dell’abitabilità degli altri mondi, sebbene l’argomento si prestasse, e si presti tuttora, a miscele più o meno equilibrate di scienza e fantascienza. Caso tipico di commistione è quello di W. Herschel, lo scopritore del pianeta Urano, il quale sosteneva che esseri viventi abitassero sulla Luna, sui pianeti, (Marte compreso), e sui loro satelliti. L’autorevolezza di Herschel come astronomo e come costruttore di strumenti astronomici era indiscussa e legittimava anche le sue speculazioni sulla vita al di fuori della Terra.

Come ho detto precedentemente, inoltre, Herschel fu l’ispiratore di un programma di ricerca di ‘costituzione dei cieli’ che poté svilupparsi solo verso la fine dell’Ottocento. L’indagine sulla costituzione fisica dei corpi celesti era una delle direzioni lungo la quale poteva svilupparsi il programma herscheliano ed è documentabile quanto esso abbia influenzato le ricerche di Schiaparelli sia su Marte che sulla struttura della nostra Galassia.

Ma Herschel non costituiva un’eccezione. Anche Laplace, ispiratore del programma di ricerca che caratterizzò le ricerche astronomiche almeno fino alla metà dell’Ottocento, sosteneva l’esistenza di esseri viventi nell’immenso universo e, comunque, esaltava le doti di perspicacia del genere umano che, mediante studi astronomici, e senza far ricorso all’aiuto di esseri superiori, era stato capace di comprendere e spiegare l’Universo.

Altri importanti astronomi come Olbers, Littrow, Gauss accettavano l’esistenza della vita al di fuori della Terra.

In tale contesto le speculazioni di Schiaparelli sulla vita sul pianeta Marte facevano parte dell’orizzonte culturale e scientifico della grande maggioranza degli astronomi dell’Ottocento: metodologicamente egli le fa discendere dal fatto che da Copernico e Galileo in poi la Terra non occupa più una posizione privilegiata nell’Universo. Per analogia, allora, si deve supporre che astri della stessa specie abbiano le stesse proprietà comuni, tra cui anche quella della vita.

Fu peculiare di Schiaparelli il modo nel quale egli riuscì a dare un quadro unitario dell’evidenza osservativa favorevole all’idea che la vita fosse possibile anche al di fuori della Terra.



20. Schiaparelli scrisse vari articoli riguardanti la possibilità di ricavare delle leggi generali da un insieme di dati empirici. Alcuni di questi articoli sono metodologici, come quello riguardante i modi di ricavare la vera espressione delle leggi della natura dalle curve empiriche.

Altri invece entrano nel merito di alcuni argomenti: ad esempio nell’Osservatorio Astronomico di Brera era stata accumulata, tra il 1836 e il 1873, una gran mole di dati sul magnetismo terrestre. Schiaparelli analizzò questi dati e ne ricavò una regolarità: la correlazione tra il periodo undecennale delle variazioni diurne del magnetismo terrestre in relazione alla frequenza delle macchie solari.

Analizzò, inoltre, i dati di trentacinque anni di osservazioni dell’umidità atmosferica nel clima di Milano; studiò la frequenza delle grandini in un medesimo luogo e in diverse epoche; analizzò trentotto anni di dati relativi al clima di Vigevano e così via.

Schiaparelli, dunque, amava cimentarsi in campi come quelli della meteorologia, o del magnetismo terrestre, scienze poco formalizzate e mancanti di leggi in grado di inserire l’interpretazione dei dati osservativi in un contesto teorico.

Ipotesi generali riguardanti l’andamento di fenomeni dei quali si possedevano molti dati osservativi potevano essere ricavate dall’analisi dei dati mediante un processo continuo di induzione, di formulazione di ipotesi, di ricostruzione dei dati sulla base dell’ipotesi, di riaggiustamento delle ipotesi e così via. E’ un metodo che, dal punto di vista epistemologico, si presta a fondate critiche, ma che permette di ottenere delle prime regole per orientarsi tra i dati di discipline che non hanno ancora acquisito una struttura logica stabile.

E’ un metodo che, con qualche variante, Schiaparelli applicò al pianeta Marte: la variante era dettata dal fatto che i dati sul pianeta erano disomogenei. Alcuni erano quantitativi come le posizioni, nel tempo, di una macchia nevosa del pianeta rispetto al reticolo dei meridiani e dei paralleli oppure le posizioni dei punti fondamentali. Altri invece erano qualitativi come la descrizione di regioni del pianeta, o come il colore.

Ricavare un quadro interpretativo unitario da dati così disomogenei richiede abilità del tutto particolare e dà luogo a rischi di errori: ma provoca un grande piacere intellettuale nello scienziato che affronta un compito del genere: più i fatti sono strani o inattesi, più le prove debbono essere numerose e significative. L’articolo “La vita sul pianeta Marte”, ristampato in questo volume, mette in risalto sia l’abilità dell’autore nel connettere in un quadro unitario dati osservativi disomogenei sia i rischi che egli era cosciente di correre avventurandosi a formulare ipotesi su un argomento così complesso e privo di ipotesi interpretative plausibili.



21. Le opposizioni di Marte successive al 1909 furono seguite con sempre meno interesse dagli astronomi: in parte perché le conoscenze sul pianeta si erano oramai stabilizzate e in parte perché, a partire dagli anni venti, e fino ai nostri giorni, prima l’astrofisica stellare, e poi quella galattica ed extra-galattica sono diventate i temi di ricerca più promettenti di nuovi risultati nello studio dei cieli.

Lo studio di Marte ha attirato di nuovo l’attenzione degli astronomi quando nel 1962 l’Unione Sovietica lanciò la sonda spaziale Mars 1, in occasione dell’opposizione del gennaio 1963. Seguirono poi i lanci di varie sonde spaziali da parte dei russi e degli americani. Le immagini fotografiche del pianeta proveniente dalle sonde provocarono grande sorpresa: la superficie appariva morta e costellata di crateri. Marte era più simile alla Luna di quanto non si sospettasse. L’atmosfera marziana era costituita da anidride carbonica che, ai poli, era allo stato solido, come Stoney aveva previsto oltre mezzo secolo prima.

Ma anche questa rappresentazione del pianeta doveva rapidamente cambiare a causa del miglioramento della strumentazione delle sonde. I dati inviati a Terra dalla sonda americana Mariner 9, lanciata nel novembre 1971, e che orbitò intorno al Marte a una distanza molto ravvicinata, dovevano ancora una volta suscitare grande sorpresa: sulla superficie del pianeta si notavano di canali che davano l’impressione di fiumi in secca, impossibili comunque da osservare da Terra. Queste strutture e altri indizi suggerivano che l’acqua era una volta esistita sul pianeta e che su di esso c’era stato un periodo di cicli di cambiamenti climatici.

A partire dal 1975, con la missione Viking, i primi moduli spaziali in grado di inviare informazioni a Terra cominciarono ad ‘atterrare’ sul pianeta. Uno degli scopi delle missioni era quello di accertare la presenza di forme di vita, ancorché primitiva: nessuna evidenza favorevole risultò dall’esame dei dati inviati dai moduli.

Recentemente la ricerca della vita su Marte è ripresa e ad essa si sono appassionati scienziati, filosofi, curiosi delle cose della natura. La cronaca ci ha mostrato splendide immagini di Marte provenienti dal Mars Pathfinder, ‘atterrato’ su Marte nel luglio 1997. Altre missioni sono previste fino al 2003. Ed è ancora cronaca recente (1996) la diffusione dei risultati delle analisi di un meteorite caduto sulla Terra nel 1984, probabilmente proveniente da Marte, che ha suscitato tra gli studiosi discussioni e polemiche riguardo alla possibile evidenza di fossili di vita sul pianeta. Le attuali conoscenze scientifiche non permettono di sapere se forme di vita siano mai esistite o esistano sul pianeta: ma siamo fiduciosi che la scienza possa dare risposte soddisfacenti a un quesito che il genere umano si è posto appena sono iniziate le speculazioni intorno al mondo che ci circonda.





* Testo pubblicato con modifiche in Tucci, Pasquale; Mandrino, Agnese; Testa, Antonella (a cura di) (1998). Giovanni Virginio Schiaparelli, La vita sul pianeta Marte (Milano: Mimesis, 1998).