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Il chinino, ovvero l’albero che fa passare la febbre

A volte l'osservazione fatta per caso e con sagacia non incrocia la strada di uno scienziato, ma quella di una persona qualunque. E' quanto accaduto a un indio peruviano agli inizi del diciassettesimo secolo. La sua storia è al limite tra leggenda e realtà.

L'indio, in preda a una fortissima febbre, stava attraversando una impervia regione andina per tornare al proprio villaggio. La febbre era dovuta alla malaria. Le forze stavano venendogli meno e l'arsura rallentava ulteriormente il suo passo. La morte sembrava certa, quando trovò una pozza d'acqua. Si buttò carponi a bere, ma si accorse che nell'acqua c'era un grosso ramo di un albero, chiamato dagli indios quina-quina, ritenuto velenoso.

L'indio non ci pensò su due volte: nonostante il pericolo di avvelenarsi scelse di bere, visto che ormai pensava di essere alla fine. Bevendo sentì un gusto amarognolo dell'acqua, dovuto appunto alla pianta, che stava marcendo nella pozza, e che rilasciava la propria linfa.

Con suo grande stupore, l'indio non solo non morì avvelenato, ma si sentì tornare le forze. La febbre sparì e lui potè tornare al proprio villaggio, e raccontare le magiche virtù della quina quina. L'episodio arrivò alle orecchie dei gesuiti di Lima, che decisero di sfruttare la scoperta dell'indio, appropriandosene. Fu così che il chinino, il farmaco ancora oggi venduto nelle tabaccherie italiane, perché monopolio di stato come sale e tabacchi, prese dapprima il nome di corteccia dei gesuiti, e venne esportato, attorno al 1630, in Europa. Il farmaco prese poi il nome definitivo dal termine usato dagli indio per indicare la pianta miracolosa.

Altrettanto curiosa è la storia del nome ufficiale della Quina Quina. Fu battezzata da Linneo, nel corso della sua classificazione botanica del 1742, Cinchona, in onore della contessa di Chincon. Si narra infatti che la moglie del vicerè del Perù, la contessa di Chincon, appunto, sia stata curata dalla malaria con l'estratto della pianta e sia stata addirittura lei a introdurne l'uso in Europa. Anche in questo caso, comunque, leggenda e realtà si mescolano: la contessa infatti poteva sì aver usato il chinino, ma non certo averlo introdotto in Europa, dove non mise mai piede.

  

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