Ci sono parole che entrano nel linguaggio comune passando
attraverso il telefono senza fili. La parola 'coma' è
una di queste, ed espressioni quali 'morte cerebrale' o
'risveglio dal coma' le fanno buona compagnìa,
strapazzate e stiracchiate fino ad assumere significati a
volte innocentemente imprecisi, a volte imperdonabilmente
fuorvianti...
Vorremmo mettere qualche puntino sulle 'i', non per
puntiglio di perfezionisti, ma per
la convinzione che in questo campo una non corretta
informazione possa essere causa di inutili sofferenze,
soprattutto in due ambiti:
1) creando non realistiche attese nei familiari e congiunti
dei pazienti in coma;
2) ostacolando la diffusione della consuetudine di donare
gli organi in seguito a morte cerebrale, nella misura in cui
si mette in dubbio l'irreversibilità di questa.
Cominciamo con il ridimensionamento della leggenda
metropolitana sul paziente in coma irreversibile da anni che,
grazie all'inarrendevolezza di una voce cara e ad assidue
carezze, finalmente si sveglia e si alza dal letto sano e
salvo. Come una specie di Lazzaro o di bella addormentata nel
bosco.
Purtroppo dal coma irreversibile non ci si
risveglia (non sarebbe irreversibile!).
E anche quando il coma è reversibile uscire indenne da tale
condizione è conquista non da poco.
Innanzitutto ci vuole tempo: non è corretto parlare di
risveglio nei termini di un immediato ripristino della
coscienza; l'evoluzione naturale di un danno cerebrale implica
infatti un percorso sfumato attraverso condizioni di coscienza
ridotta, progressivamente crescente.
Ma non è detto che il tempo aggiusti tutto: a volte i
progressi portano al recupero di una completa lucidità, a
volte si arrestano agli stadi intermedi. A volte non ci sono
progressi, e il cervello muore.
LE TAPPE DI USCITA DAL COMA (1)
Le circostanze che portano al coma possono essere le più
disparate. Nella maggior parte dei casi si tratta di eventi
traumatici o di accidenti vascolari, con danni al tessuto
cerebrale più o meno diffusi, rispetto ai quali si è
constatato uno schema relativamente costante di
riorganizzazione e recupero.
Per rendere più chiare le osservazioni che seguiranno, sarà
utile riportare un accenno ai vari stadi di 'uscita dal coma',
tenendo presente che spesso l'esito di tale processo è un
quadro intermedio in cui rimangono danneggiate alcune funzioni
neurologiche e, di riflesso, l'identità della persona e le sue
relazioni.
Ci rifacciamo alla terminologia di Alexander (1982):
Aprire gli occhi e uscire dalla fase comatosa non significa
essere coscienti:
c'è uno stato di apparente contattto con l'ambiente,
infatti, detto vegetativo o 'di vigilanza', nel quale
compaiono risposte motorie non volontarie, mediate
dall'attività
sottocorticale. Solo in seguito subentra una fase di
attività corticale, (con reattività muta più o meno
prolungata, a seconda del grado di alterazione dei canali
comunicativi), e ancora la ripresa non può dirsi completa:
l'attività cognitiva di base è quasi sempre disturbata, per
disfunzione dei meccanismi deputati all'attenzione e alla
memoria, caratterizzando la fase cosiddetta
'confusionale'. Quest'ultima si risolverà in una
progressiva 'indipendenza emergente', cioè in una
graduale autonomia nelle attività di base della vita
quotidiana (controllo degli sfinteri, alimentazione, igiene e
cura di sè....), e nel parziale o totale recupero delle
capacità intellettive e sociali.
STIMOLAZIONI E INTERAZIONI CON IL PAZIENTE NELLE FASI CHE
PRECEDONO IL RISVEGLIO: COSA SERVE E COSA NO (2)
Sembra fuor di dubbio che una stimolazione sensoriale abbia
qualche effetto di tipo vegetativo, sulla persona non
cosciente, influenzi cioè la ripresa di funzioni che pur
dipendendo dal cervello sono involontarie, automatizzate
(respiro, livello pressorio, funzione cardiaca).
Non esiste tuttavia evidenza di una simile efficacia per
quanto riguarda il recupero della coscienza: è eccessiva,
quindi, l'enfasi posta nell' accordare un ruolo di
'catalizzatori' del risveglio a ingredienti con valenza
emotiva quali musiche preferite, presenza costante di una
persona cara, suoni e odori familiari: tali stimoli non
avrebbero più peso di generici pizzicotti, luci, odori.
Un arricchimento ambientale personalizzato ha invece senso
dopo il ripristino di vigilanza e coscienza, per
favorire una riorganizzazione neurologica, purchè all'interno
di contesti strutturati e prevedibili (limitando variazioni di
orari, ambienti, personale ospedaliero..), tali da evitare che
gli stimoli si trasformino in 'rumore di fondo': quest'ultimo
indurrebbe assuefazione, riducendo la capacità di selezionare
informazioni ed elaborare risposte.
E' realistico allora prospettare un contributo dei
familiari all'interno di un programma che aiuti il paziente a
ricostruire significati e storia.
DAL COMA ALLA VITA, DAL COMA ALLA MORTE....(3)
Come abbiamo visto, ci sono dei termini che hanno il ruolo
ben preciso di differenziare tra loro i diversi stadi del
recupero, e questi ultimi dalla morte: non è la stessa cosa
dire che un paziente si è svegliato dopo anni di stato
vegetativo e dire che si è svegliato dopo anni di
coma, o addirittura di morte cerebrale...
Le moderne tecniche di rianimazione consentono di mantenere
artificialmente la funzione cardiaca, adeguati valori di
pressione arteriosa e un ritmo e una profondità respiratoria,
anche quando l'attività delle aree cerebrali che normalmente
li governa viene a cessare: normalmente nell'arco di non più
di dodici-quarantott'ore al silenzio elettrico cerebrale
subentra una ripresa delle funzioni vegetative che rende
possibile un graduale 'svezzamento' dalle macchine. Se tale
ripresa non si verifica, siamo alla frontiera tra la vita e la
morte: a parità di quadro clinico-elettroencefalografico si
danno quadri sia reversibili, sia irreversibili.
Per pronunciare una diagnosi bisogna considerare i fattori
eziologici (le cause) e lo stato dei tessuti: intossicazioni
da ossido di carbonio e da farmaci depressori del sistema
nervoso centrale, e ipotermia accidentale o terapeutica
provocano un silenzio cerebrale del tutto transitorio. Al
contrario la distruzione dei tessuti comporta la diagnosi di
'coma trapassato' o 'morte cerebrale'.
Se la ripresa invece si verifica, e il paziente entra in
uno stato vegetativo, si apre la possibilità di una nuova
'biforcazione': da un lato le tappe del risveglio cui abbiamo
accennato sopra; dall'altro la diagnosi di stato vegetativo
persistente, qualora non si profili alcun progresso
nell'arco di un mese. Da questa condizione ci si può ancora
riprendere; tuttavia criteri statistici suggeriranno
l'irreversibilità del caso, con la diagnosi di stato
vegetativo permanente, se trascorreranno
ulteriori dodici mesi senza miglioramenti in caso di eventi
traumatici, o dopo appena tre mesi senza miglioramenti in caso
di eventi non traumatici.
Nonostante l'esistenza di criteri diagnostici oggettivi,
data l'estrema delicatezza della materia, la parola definitiva
spetta comunque ad un neurologo con adeguata esperienza e
pratica clinica.
Nessun medico si sognerà di 'staccare la spina' prima di
aver accertato la necrosi dei tessuti del sistema nervoso
centrale. E comunque un simile gesto perverrebbe
all'attenzione della Giustizia prima che della stampa
pettegola.
DAL COMA AD ALTRE VITE...E' POSSIBILE? (4)
Ora possiamo riscrivere in termini freddi e prosaici la
favola che aleggia sui rotocalchi di tutti i tavolini delle
sale d'aspetto: quella del signor Tale che si è assentato
momentaneamente dall'unità di rianimazione per fare una
capatina in paradiso e ritorno...
Un aspetto che incuriosisce, confrontando testimonianze
indipendenti di 'pre-morte', è il riscontro di un'esperienza
universale e coerente, comune alla maggior parte dei
'redivivi', i quali riferiscono peregrinazioni extracorporee,
attraversamento di un tunnel, e poi luce, benessere,
perfezione.
Il carattere universale di tale esperienza andrebbe
rintracciato nella limitata gamma di allucinazioni che
tipicamente sono conseguenza di un certo tipo di danno alla
corteccia visiva (reticolo, spirale...), e in una
relativamente limitata gamma di interpretazioni che il
cervello produrrebbe per darvi coerenza, anche se questi due
aspetti non esauriscono la colorazione emotiva del fenomeno:
questa può essere attribuita non solo alla compromissione di
strutture anatomiche, come il sistema limbico o i lobi
frontali, deputate all'elaborazione e al controllo delle
risposte affettive, ma anche a una mancata integrazione, su un
piano puramente funzionale, dei diversi processi cognitivi e
affettivi intatti. Anche eventuali effetti farmacologici non
devono essere trascurati.
Tornando agli aspetti allucinatori, sarà qui utile una
puntualizzazione sul carattere di realtà rivestito da simili
episodi: ci si domanda come mai, se si tratta solo di
allucinazioni, queste allucinazioni sembrino così reali. La
perplessità è legittima, ma non tiene conto della natura
stessa dell'allucinazione, che è quella di un'esperienza
soggettivamente indistinguibile da una percezione normale. C'è
un indizio che perviene al paziente sul carattere
allucinatorio della sua esperienza, ed è la mancanza di
conferme attraverso le diverse modalità sensoriali: tuttavia
egli tenderà a risolvere il conflitto nel modo più economico,
cioè senza mettere in dubbio la genuinità della sua
percezione, e dandole piuttosto un'interpretazione razionale e
coerente con il modello di realtà più stabile in quel momento
a disposizione. Nel nostro esempio il modello capace di
conciliare esperienze extracorporee, tunnel, luce, benessere,
sarà quello che 'vincerà l'appalto' e verrà preso più sul
serio; facilmente tale modello si riferirà ad 'anticipazione
di altre vite'.
Per non tralasciare altri tipi di esperienze che ugualmente
rimandino a dimensioni ultraterrene, ricordiamo che il
cervello ha molti modi per andare 'in tilt': cellule che
scaricano in modo anomalo produrranno corrispondenti vissuti
più o meno paradossali o bizzarri.
Proponiamo, per analogia, la lettura introspettiva
dell'esperienza vissuta da un epilettico prima di un accesso
ne L'idiota, di Dostoevskij: "..Avvertii che il
paradiso era sceso in terra e mi inghiottiva. Ebbi la
sensazione di aver toccato Dio. Sembrava che fosse entrato nel
mio corpo....Voi tutti, che siete persone sane, non riuscite a
immaginare la felicità che noi epilettici proviamo nei secondi
che precedono l'attacco...Non la baratterei con qualsiasi
altra gioia che la vita mi può riservare."
(1) C. Perino, R.Rago (1995). Neurotraumi
encefalici: cause, conseguenze, interventi riabilitativi.
Trauma cranico.
R. Formisano, P.Bianchi,P. Franco, D. Di Diego, M.G.
Grasso. La sindroma post-comatosa: valutazione diagnostica,
fattori prognostici e terapia.La sindrome
post-comatosa. Atti del Convegno 5 dicembre 1992.
(2) L.Caldana (1996). Stimolazioni
sensitivo-sensoriali nel paziente in coma. Atti del
convegno internazionale.Traumi cranici: una sfida per gli anni
2000.
(3) C.Loeb (1977). Lo stato di
coscienza e le sue alterazioni. Il coma.
Neurologia.
M.Rapin (1974). I coma irreversibili.
Rianimazione medica.
Atti del meeting del Academy of Neurology – S. Francisco –
Aprile ‘96
(4) A.Sims (1988). La coscienza e i
disturbi della coscienza. Introduzione alla
psicopatologia descrittiva.
A.Sims (1988). Patologia della percezione.
Introduzione alla psicopatologia descrittiva.
G.Prigatano (1995). Disturbi della personalità dopo
trauma cranio-encefalico. Trauma cranico.
S.Blackmore (1992). Visioni da un cervello
morente.CICAP, anno IV, n.1
GLOSSARIO:
Le possibili definizioni e classificazioni nosografiche
degli stati che seguono la fase acuta del coma sono numerose,
e spesso gli 'addetti ai lavori' lamentano la mancanza di un
omogeneo sistema di valutazione.
Nel nostro discorso abbiamo fatto riferimento ad alcuni dei
termini meno controversi e di più frequente impiego:
Coma: perdita di coscienza e vigilanza, con assenza
di qualunque risposta motoria volontaria a comando, assenza di
produzione verbale comprensibile, assenza di apertura degli
occhi.
Coma irreversibile - coma trapassato - morte cerebrale:
necrosi del sistema nervoso centrale con assenza di ogni
risposta agli stimoli, cessazione del respiro, silenzio
elettrico cerebrale.
Stato vegetativo-sindrome apallica-coma vigile:
stato in cui si presume che le funzioni della
corteccia cerebrale (pallium) possano essere totalmente
soppresse, e che l'attività vitale sia mantenuta solo da
strutture sottocorticali. Si tratta di una condizione di
vigilanza senza coscienza: sono presenti, infatti, apertura
spontanea degli occhi e risposte riflesse, e quindi un
apparente contatto con l'ambiente, ma non è possibile rilevare
alcun segno di attività cognitiva, ne' di risposte organizzate
e finalizzate.
Stato vegetativo persistente: stato vegetativo che
si protragga oltre un mese senza miglioiramenti.
Stato vegetativo permanente: stato vegetativo che si
protragga oltre dodici mesi (dopo eventi traumatici)/ tre mesi
(dopo eventi non traumatici) senza miglioramenti.
Reattività muta: fase in cui compaiono i primi segni
di attività cerebrale finalizzata e organizzata, ma ancora
senza verbalizzazione.
Sindrome di locked-in: sindroma 'da incarceramento';
quadro di grave tetraplegia e mutismo, nel quale non solo le
risposte verbali, ma anche quelle degli arti, sono impedite, a
fronte di una ripresa dell'attività cerebrale. (Quest'ultima
può esprimersi attraverso canali alternativi, quali lo sguardo
o i movimenti del capo).
Stato confusionale: stato di vigilanza con coscienza
disturbata. Nonostante la capacità di comunicare verbalmente,
sono presenti invalidanti problemi di memoria e di
attenzione.
Indipendenza emergente: progressiva
risoluzione dello stato confusionale e, se c'è stato un
trauma, dell'amnesia post-traumatica; crescente autonomia
nelle attività di igiene e cura di sè, con iniziale presa di
coscienza delle circostanze e delle eventuali residue
difficoltà di attenzione, pianificazione, elaborazione delle
informazioni. |