Era una gelida mattina d’inverno io stavo giocando con la neve in
giardino, quando ad un tratto sbucò da un cespuglio una palla di pelo grigiastro. Pensai ad un pallone e mi avvicinai: era un gatto, probabilmente randagio perché era magrissimo, si vedevano le costole. Osservandolo da vicino notai che aveva molte cicatrici, il muso era tutto graffiato. Il suo corpo era molto sporco, arruffato e spelacchiato, non morbido come quello di un gatto domestico. Mi accorsi che aveva le orecchie mangiucchiate, la coda rovinata, mozzata e sempre rivolta verso terra. Mi fissava con i suoi grandi occhi verde smeraldo: implorava aiuto. Mi faceva pena. Lo presi in braccio: era infreddolito e tremava come una foglia. Lo portai in casa, lo avvolsi in una calda e morbida coperta e lo sistemai davanti alla stufa. Gli preparai una ciotola di latte e biscotti che divorò in un attimo. Si accovacciò davanti alla stufa e si addormentò cullato dal dolce calore del fuoco. Dal quel momento quel gatto divenne tutto mio e lo chiamai Fiocco.